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Prevenire il cancro dell’utero
Il il cancro del collo dell’utero (o della cervice uterina) è al secondo posto nel mondo, dopo quello della mammella, tra i tumori che colpiscono le donne (I numeri del cancro in Italia 2016).
Il tumore è causato da un’infezione persistente da papillomavirus umano (HPV), che si trasmette per via sessuale ed è molto frequente soprattutto nelle persone giovani. La maggior parte delle infezioni regredisce spontaneamente, quando invece l’infezione persiste nel tempo si formano lesioni nel tessuto del collo dell’utero che possono evolvere in cancro.
Esistono molti tipi diversi di virus HPV e il rischio di cancro dipende fortemente da alcuni tipi ben identificati: ad esempio i virus HPV 16 e HPV 18 sono considerati tra i più pericolosi.
L’acquisizione dell’infezione è necessaria per sviluppare il tumore, tuttavia vi sono anche altri fattori che contribuiscono all’insorgenza del cancro, come il fumo di sigaretta, le abitudini sessuali, la presenza in famiglia di parenti stretti con questo tumore, una dieta povera di frutta e verdura, l’obesità.
Il lasso di tempo tra infezione e sviluppo del tumore è lungo ed è possibile intercettare e trattare le lesioni prima che degenerino. Dato che sia le infezioni che le lesioni possono non dare alcun segno clinico ed essere quindi inapparenti, è necessario eseguire alcuni esami specifici per identificarle. Gli screening sono programmi di sanità pubblica offerti alla popolazione generale che offrono la possibilità di effettuare esami specifici per identificare precocemente lesioni pre-cancerose in modo da trattarle e risolverle.
L’esame di screening
Il test impiegato finora nello screening per il cancro del collo dell’utero è il Pap-test.
Deve essere effettuato da tutte le donne di età compresa tra i 25 e i 64 anni ogni tre anni. Secondo le prove scientifiche disponibili è questo infatti l’intervallo di tempo che rende massimi i benefici dello screening e riduce al minimo i costi e le visite richieste.
L’intervallo, infatti, è sufficientemente breve per rendere poco probabile tra un test e l’altro lo sviluppo di un tumore, ma non così breve da individuare lesioni che regredirebbero spontaneamente e quindi da indurre a effettuare un trattamento che non sarebbe necessario.
Il Pap-test consiste in un prelievo di una piccola quantità di cellule del collo dell’utero, eseguito strofinando sulle sue pareti una spatolina e un tampone.
Le cellule prelevate, dopo essere state sottoposte a un particolare processo chimico, vengono analizzate al microscopio per valutare la presenza di alterazioni, che possono essere indice di una trasformazione in cellule tumorali.
Se il Pap-test non evidenzia nessuna anomalia, la donna viene invitata a ripetere l’esame dopo tre anni.
Recentemente, viste il ruolo indispensabile di alcuni tipi di virus HPV (cosiddetti ad alto rischio) nello sviluppo del cancro della cervice uterina, le Regioni sono state sollecitate a mutare il test di screening.
Il nuovo test di screening si baserà sulla ricerca dell’infezione dell’HPV ad alto rischio. Il prelievo è simile a quello del Pap-test. L’esame dovrà essere effettuato non prima dei 30 anni ed essere ripetuto con intervalli non inferiori ai 5 anni.
Se il test HPV risulta positivo la donna dovrà sottoporsi ad un Pap-test.
Se anche questo è positivo la donna dovrà sottoporsi a colposcopia.
Se invece la citologia non presenta alterazioni importanti la donna ripeterà il test HPV dopo un anno.
Dai 25 a 30-35 anni l’esame di riferimento rimane il Pap test da eseguirsi ogni tre anni . Questa scelta è dovuta al fatto che in giovane età la probabilità di avere una infezione da HPV è molto alta senza che questa assuma una importanza clinica.
Gli esami di approfondimento
Se invece il Pap-test risulta positivo, vale a dire nei casi in cui l’analisi al microscopio mostra la presenza di cellule con caratteristiche pre-tumorali o tumorali, il protocollo dello screening per il cancro del collo dell’utero prevede l’esecuzione di esami di approfondimento.
In primo luogo la donna è invitata a eseguire una colposcopia. Si tratta di un esame che, attraverso l’utilizzo di un apposito strumento (il colposcopio) permette la visione ingrandita della cervice uterina. In tal modo il medico è in grado di confermare la presenza di lesioni pretumorali o tumorali e valutarne l’estensione.
Alla colposcopia può far seguito una biopsia, cioè un prelievo di una piccola porzione di tessuto anomalo da sottoporre a un’analisi che confermi definitivamente le caratteristiche esatte della sospetta lesione.
Il trattamento
L’adesione puntuale ai programmi di screening (in particolare il rispetto degli intervalli prefissati) aumenta notevolmente le probabilità di individuare lesioni a uno stadio di sviluppo molto precoce. Ciò consente il più delle volte di interrompere il cammino della lesione verso il tumore avanzato, con un piccolo intervento chirurgico.
L’incidenza dei tumori della cervice uterina in Italia, negli ultimi dieci anni è diminuita di quasi il 25%, proprio grazie agli effetti positivi dello screening e del trattamento precoce.
Tuttavia, l’approccio terapeutico, che all’interno dei programmi di screening è rigidamente codificato nel rispetto delle prove di efficacia, è diverso a seconda della natura della lesione identificata.
In particolare, la lesione viene considerata tanto più grave quanto più si è estesa in profondità nella parete del collo dell’utero.
In genere, nel caso di lesioni che hanno alte probabilità di regredire spontaneamente si preferisce attendere e valutare nuovamente la situazione dopo un nuovo ciclo di screening.
Nel caso di lesioni di gravità intermedia le lesioni vengono rimosse con piccoli interventi chirurgici, eseguiti in ambulatorio e in anestesia locale.
Nel caso di lesioni gravi, che sono comunque molto rare e più frequenti nelle persone che non hanno mai eseguito esami di screening, la donna deve seguire un iter terapeutico più complesso a seconda dell’esatta natura e dell’estensione della lesione.